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domenica 22 luglio 2018

Cattura nanopolveri sulla scia di un aereo commerciale


Proponiamo un filmato molto interessante e decisivo. Il video, denominato "Esame del nanoparticolato relativo ad un'operazione di geoingegneria", si riferisce all'analisi di quanto fuoriesce dai motori di un aviogetto. I picchi indicano chiaramente, in concomitanza con l'entrata "in scia", che dai turbofan non proviene vapore acqueo, a differenza di quanto dichiarato dal Dottor Massimo Polidoro del C.I.C.A.P. (sulla perniciosa televisione di Stato italiana) e dai negazionisti in genere. Tanto più che sul display della telecamera non si formano goccioline d'acqua, il che dimostra che quelle scie non sono composte in gran parte da cristalli di ghiaccio, ma da fine particolato di elementi chimici incombusti. Con buona probabilità sono i metalli neurotossici a noi noti ed evidenziati dallo studio svizzero del 2013/2014.




Nel video: i piloti inseriscono il loro velivolo all'interno della scia. Il grafico mostra, in tempo reale, i corrispondenti aumenti delle concentrazioni misurate di anidride carbonica (CO2), biossido di azoto (NO2), ultrafine (meno di 10 nm di diametro), fine (maggiore di 10nm di diametro) e concentrazioni del numero di particelle non volatili (fuliggine) (Np) e assorbimento ottico (Abs) delle particelle a lunghezze d'onda di luce blu, verde e rossa.


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Range finder: come si sono svolti i fatti

sabato 23 giugno 2018

Ombre in cielo e nanoparticolato atmosferico



Da che cosa deriva l'ombra delle scie? Dalla riflettanza. Le ombre delle scie sono un effetto del nanoparticolato composto da metalli e solfuri in sospensione (nanopolveri PM 0.3): è un fenomeno che determina un'elevata riflettanza tale da causare la comparsa dell'ombra, proiettata dalle scie e dall'aereo (e, in taluni casi dalle stesse nubi) in particolari condizioni di luce solare. [1] La presenza del nanoparticolato non è fortuita, ma funzionale agli obiettivi strategici che motivano le attività di geoingegneria clandestina alias "scie chimiche", volte a creare un medium atmosferico utile alla propagazione delle onde elettromagnetiche ed alla drastica riduzione dell'umidità, quindi delle precipitazioni piovose. Di qui la distruzione delle nubi naturali, sostituite da quelle che i meteo militarizzati indicano come "innocue velature" che sono tutto fuorché innocue.

[1] La riflettanza misura, in ottica, la capacità di riflettere parte della luce incidente su una data superficie o materiale. Essendo quindi il rapporto tra intensità del flusso radiante riflesso e intensità del flusso radiante incidente, è una grandezza adimensionale.




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Range finder: come si sono svolti i fatti

venerdì 9 settembre 2016

Nanoparticelle di ferro nell'encefalo e patologie neurodegenerative



Una recente ricerca pubblicata sui Proceedings of the national academy sciences (P.N.A.S.) collega l’inquinamento ambientale a danni neurologici. Lo studio, che individua tra le fonti di contaminazione gli impianti industriali e gli inceneritori, dimentica, però, la principale causa dell’avvelenamento, ossia il traffico aereo commerciale che di fatto è spesso collegato alle devastanti attività di biogeoingegneria clandestina alias scie chimiche (chemtrails). Insomma i ricercatori vedono il filo d’erba e non la foresta, ma il nesso tra particolato ultrafino ed affezioni neurodegenerative, nesso già evidenziato anni fa da vari scienziati a tutto tondo, come Russell Blaylock, è sempre più evidente ed indiscutibile.

Non solo cuore e polmoni: anche l'encefalo è a rischio a causa dell’inquinamento atmosferico. Una ricerca recentemente pubblicata sui Proceedings of the national academy sciences ha, infatti, identificato, per la prima volta, nei tessuti del cervello umano delle nanoparticelle di magnetite di origine industriale. Il materiale - spiegano gli autori dello studio - è un ossido del ferro con proprietà magnetiche prodotto dai processi di combustione delle centrali elettriche, degli inceneritori e di vari impianti industriali. All’interno del nostro organismo risulta estremamente tossico.

La presenza di magnetite nel cervello umano in realtà non è di per sé una novità. Da almeno venticinque anni, infatti, si sa che il nostro organismo può produrre micro-particelle magnetiche a partire dal ferro, impiegato nei normali processi metabolici. Il ruolo svolto dalla magnetite di origine biologica, però, non è chiaro. Il problema è che la magnetite causa un grave stress ossidativo sulle nostre cellule e la sua presenza è stata collegata allo sviluppo dell’Alzheimer (e di altre malattie neurodegenerative) ed alla formazione delle placche amiloidi che lo accompagnano.

Gli autori dello studio, un’équipe di ricerca internazionale coordinata dal fisico Barbara Maher della Lancaster University (Regno Unito di Gran Bretagna ed Irlanda del Nord), ha deciso di verificare quante delle nanoparticelle di magnetite presenti nel cervello umano siano effettivamente di origine biologica, analizzando campioni di corteccia cerebrale provenienti da trentasette campioni.

Adoperando diversi tipi di tecniche di imaging, i ricercatori hanno verificato la struttura geometrica delle nanoparticelle di magnetite presenti nei campioni, scoprendo che la maggior parte è di forma sferica, particolare che, secondo gli esperti, suggerisce un’origine ambientale, non biologica. A confermare la provenienza esterna del materiale è anche la presenza di altre particelle metalliche che non vengono prodotte nell'organismo, come platino, nickel e cobalto. Ciò dimostra come gli inquinanti ambientali possano raggiungere il nostro sistema nervoso centrale con molta più facilità di quanto si ritenesse fino ad oggi.

La magnetite ambientale presente nell’encefalo supererebbe inoltre quella biologica con una proporzione di cento a uno: numeri elevatissimi che rendono ancor più preoccupante la scoperta. Il legame dell’ossido di ferro con l'Alzheimer ed altre patologie neurodegenerative non è ancora chiaro - sottolineano gli autori dell’indagine - e non si sa neanche a quali livelli di concentrazione andrebbe considerata pericolosa, ma i rischi non si possono sottovalutare. “Purtroppo si tratta di un fattore di rischio estremamente plausibile che rende necessario lo sviluppo di adeguate precauzioni”, ha spiegato la Maher. “I legislatori hanno già cercato di tenere conto di questi pericoli nelle attuali normative sull’inquinamento ambientale, ma evidentemente queste regole potrebbero avere bisogno di essere riviste”.

Fonte: Sciencemag.org


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mercoledì 23 marzo 2016

Studio francese attesta che l’ambiente è inquinato da polimeri di origine atmosferica



Una ricerca referata francese del 2015 attesta che l’ambiente è contaminato da microfibre di plastica: lo studio è incline ad attribuire l’inquinamento alle lavorazioni industriali ed all’agricoltura, ma noi non possiamo escludere che le fibre sintetiche di ricaduta siano dovute per lo più alla polimerizzazione dei carburanti aeronautici. Qualunque sia l’origine delle microfibre, abbiamo poco da rallegrarci, perché, come dimostra l’indagine, l’acqua, il cibo, l'aria etc. sono avvelenati.

Fibre sintetiche di ricaduta: Rachid Dris, Johnny Gasperi, Mohamed Saad, Cécile Mirande, Bruno Tassin Université Paris-Est, LEESU (Laboratoire eau environnement et Systèmes urbains), 61 avenue du Général de Gaulle, 94010 Cedex Créteil, Francia

Storia dell'articolo: ricevuto il 2 ottobre 2015, ricevuto in forma riveduta il 22 dicembre 2015, accettato il 5 gennaio 2016

In questa ricerca è stata studiata la ricaduta atmosferica di microplastiche (nanofibre di polimeri) in due siti urbani e sub-urbani differenti. Le microplastiche sono state raccolte con un imbuto in acciaio inox. I campioni sono stati filtrati ed osservati con uno stereo-microscopio. Le fibre di microplastiche sono state rilevate in quasi tutti i campioni raccolti. In ciascuno specimen raccolto è stata evidenziata una ricaduta atmosferica compresa tra 2 e 355 particelle / m2 / al giorno. I flussi registrati erano sistematicamente superiori nei centri urbani rispetto a quelli dei siti sub-urbani.

La caratterizzazione chimica ha permesso di stimare al 29% la proporzione di tali fibre che sono ora sintetiche ora una miscela di materiali naturali e sintetici. L'estrapolazione delle fibre raccolte (con peso e volume), ha permesso una stima approssimativa. Essa mostra che tra le 3 e 10 tonnellate di fibre ogni anno si sono accumulate a seguito dalla ricaduta atmosferica nell'agglomerato parigino (2500 km2). […]

Sulla base di un monitoraggio a lungo termine, i nostri risultati mostrano grandi quantità di fibre da ricaduta atmosferica, fenomeno che non è ancora stato riportato nella letteratura scientifica. Durante il monitoraggio di tutto l'anno (sito 1), la ricaduta atmosferica variava dai 2 a 355 particelle / m2 / al giorno con una ricaduta media atmosferica di 110 ± 96 particelle / m2 / al giorno. Sulla postazione 2 (controllo a sei mesi), la ricaduta atmosferica è stata di circa 53 ± 38 particelle / m2 / al giorno.

La plastica ed i micro-detriti sono formati principalmente da polietilene, ma anche di etilene / butilene e copolimeri di etilene / acetato di vinile: si è pensato che potessero provenire da cosmetici contenenti particelle esfolianti come il gel doccia ed il dentifricio. Questi composti passano nell’ambiente dai sistemi fognari. Le microplastiche possono costituire fino al 10% del peso totale del prodotto. Inoltre, le particelle granulari usate come abrasivi per trattare superfici possono diffondersi nell'ambiente.

Anche le fibre degli abiti si diffondono dappertutto attraverso il sistema fognario in quanto, come le particelle granulari dei cosmetici, alcuni di questi scivolano attraverso gli impianti di trattamento delle acque reflue. Se vengono adoperati fanghi contenenti microplastiche, come i fertilizzanti in agricoltura, la plastica ed i micro-detriti possono essere immessi nell’atmosfera, quindi contaminare il cibo.

I sorprendenti (ed inquietanti, n.d.r.) risultati delle ricerche svolte presso l'Università di Oldenburg, hanno rilevato che le fibre, i frammenti ed i materiali anche granulari si trovano nel miele, nell’acqua ed in altre bevande “potabili”.

Letto su: ningizhzidda

Fonte: nogeoingegneria.com


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martedì 22 settembre 2015

La società degli ipocriti e dei mistificatori



L'E.P.A. (l'ente statunitense per la tutela dell'ambiente - Si fa per dire...) accusa la casa produttrice tedesca Volkswagen di aver "truccato" le centraline elettroniche delle sue autovetture per superare i severi controlli "antinquinamento" vigenti negli Stati Uniti d'America.

In realtà il problema a livello europeo è in pratica generalizzato e riguarda tutti gli automezzi propulsi a gasolio e che montano il famigerato FAP o filtro attivo anti particolato. Come giustamente nota il nostro amico "Theantitanker", "Le nuove auto dotate di FAP, sono tutte fuori legge, dalla prima all'ultima. Infatti, quando questo apparato esegue la rigenerazione, 'butta fuori' tutto quello che aveva accumulato. In pratica è un miniinceneritore su ruote: è un dispositivo che espelle i residui accumulati, dopo che sono state percorse alcune migliaia di chilometri, in pochi minuti".



Vani sono stati i tentativi in Italia di far modificare o rimuovere il FAP che è all'origine dell'emissione di micidiali nanoparticelle 0.1 e 0.3 di polveri sulfuree, ancora più dannose del fastidioso "fumo nero". Il FAP brucia ad elevate temperature i prodotti della combustione, un po' come si verifica nei cosiddetti "termovalorizzatori" o nei turbofan dei velivoli odierni. La produzione di nanopolveri è, infatti, legata alla combustione ad alti valori termici.

Si consideri che negli ultimi anni molte case costruttrici si sono affidate ad un altro tipo di dispositivo (il DPF ovvero Diesel Particulate Filter) che non impiega additivi particolari, ma elimina il "particolato PM10" bruciandolo e riducendone quindi le dimensioni sino ai mortali PM 0.1/0.3.



L'E.P.A., dunque, ignora intenzionalmente, nonostante numerose denunce e segnalazioni, l'inquinamento [1] cagionato dal traffico aereo commerciale (UN A-330 INQUINA QUANTO 300/400 VEICOLI EURO 3), quando diversi recenti studi indipendenti attribuiscono alle polveri sottili, ai solfuri e ad altri composti chimici correlati al trasporto aereo civile un alto tasso di mortalità. Questi risultati, però, sono sempre ignorati, se non nascosti. E' il caso di “Evidence of coal-fly-ash toxic chemical geoengineering in the troposphere: consequences for public health”. Infatti "QUALCUNO" HA IMPOSTO LA RIMOZIONE DELLO STUDIO A FIRMA DELLO SCIENZIATO J. MARVIN HERDON CHE METTE SOTTO ACCUSA PROPRIO IL TRAFFICO AEREO CIVILE! Nel testo l’esperto non esita a chiamare le cose con il loro nome, usando termini come “chemtrails” e “geoengineering”, sgomberando il campo, anche sotto il profilo lessicale, da qualsiasi, residuo dubbio in merito al problema vigorosamente denunciato. E' inaudito, ma lo studio è stato rimosso da questa pagina a seguito delle solite pressioni provenienti dall'establishment pseudo-scientifico ed è stato sostituito da questo PDF, nel quale, in modo incredibile e vergognoso, giganteggia a caratteri cubitali la parola "RETRACTED". SE QUESTA NON E' DITTATURA, DITEMI CHE COS'E'...

Ma sia chiaro: sono le auto che inquinano. Non gli aerei.

[1] Una stima per difetto paragona l'inquinamento di ogni aereo a quello di 500 auto non catalizzate. L'aeroporto di Malpensa, ad esempio, equivale a 250-300.000 auto al giorno, quello di Linate a 150.000 auto.

Articolo correlato: Inquinamento aereo: non solo scie chimiche, 2008

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giovedì 6 giugno 2013

Scie chimiche: effetti sulla salute e sul clima (articolo del Dottor Luca Romaldini)

Pubblichiamo un articolo del climatologo Luca Romaldini. Il testo presenta gli aspetti salienti della questione “scie chimiche”, inquadrandone la matrice militare, dietro il paravento degli “esperimenti” volti a mitigare il cosiddetto “riscaldamento del pianeta”. Non sfugga il piglio ironico dell’autore, un'ironia tanto più pungente quanto più forte è la condanna nei confronti di avvelenatori e negazionisti.

La polvere di vetro speciale (porous-walled glass microsphere) dovrebbe assorbire parte del CO2 e soprattutto riflettere i raggi solari, impedendo loro di giungere sulla Terra in eccesso.

Il punto è che gli esperimenti ("limitati") sono condotti da qualche anno in segreto dal Savannah River National Laboratory di Alken (South Carolina), un centro che appartiene al Dipartimento dell’Energia (D.O.E.), un ministero che si occupa anche di realizzazioni militari, specie di quelle troppo "delicate" per apparire sotto la sovrintendenza del Pentagono. Significativamente, certi “esperimenti” con materiale fissile e radiattivo cadono sotto la competenza del D.O.E. Sembra che il progetto derivi da una proposta di Paul Crutzen, chimico olandese e Nobel 1995 per studi "sulla chimica dell’atmosfera, in particolare circa la formazione e la decomposizione dell’ozono", studi grazie ai quali è stato bandito in tutto il mondo il CFC, gas di raffreddamento dei frigoriferi, “colpevole” del leggendario buco nell’ozono. E’ dunque uno scienziato molto vicino all’industria (quando si scoprì l’assottigliamento dell'ozonosfera, stava scadendo il brevetto del CFC appartenente al colosso chimico canadese DuPont, della famiglia Bronfman che stava per perderne l’esclusiva). Inoltre Crutzen lavora tra il Max Plank Institut tedesco e Stanford, San Francisco, in California (Il deterioramento subìto dalla coltre d’ozono è da attribuire in primis alle radiazioni nucleari, n.d.r.). Fanaticamente convinto delle colpe dell’uomo nel causare l’effetto serra, Crutzen propose di inondare la stratosfera con grandi quantità di zolfo lanciato da Boeing 747, ciò che, secondo lui, avrebbe raffreddato la Terra. Silenzio sugli effetti collaterali di una simile inseminazione dell’altissima atmosfera: del resto l’umanità colpevole va punita, per salvare il mondo. C’è chi, però, sospetta altri scopi.

Patrick Michaels, docente di Scienze ambientali all’Università della Virginia, afferma che i progetti di inseminazione della stratosfera derivano dalle ricerche degli scienziati sovietici che negli anni ‘70 cercarono di mutare il clima nel Nord della Russia e persino di invertire il corso di certi fiumi.

E’ impossibile che l’apparato scientifico-militare statunitense abbia trascurato un simile promettente campo di guerra, una volta che era stato aperto dal nemico. Come si intuisce, tutto questo porta molto vicino al fenomeno delle "scie chimiche", rilasciate da aerei (civili e militari) negli Stati Uniti ed in Europa (In quasi tutto il pianeta, n.d.r.).

Una radio della Lousiana, KSLA News, ha commissionato un ennesimo esame del materiale di ricaduta, trovando che conteneva alti livelli di bario (6,8 parti per milione) e piombo (8,2 ppm), oltre che tracce di arsenico, cromo, cadmio, selenio e argento. Tutti metalli tranne uno, in genere tossici e di rado presenti in natura.

Il Louisiana Deparment of Environmental Quality ha riconosciuto che la quantità di bario è "molto insolita" (di fatto, era sei volte il livello di tossicità ammesso dall’E.P.A., l’Environmental Protection Agency), ma che "dimostrare la fonte dalle scie chimiche è un altro paio di maniche" (sic).

Un governo democratico non può volere il male dei suoi cittadini, anche se negli Stati Uniti, come hanno stabilito varie audizioni del Congresso, il governo sperimentò agenti biologici su 239 aree popolate. Altre innovazioni pensate per il vostro bene sono già in commercio. Per esempio, l’argento noto per le sue proprietà batteriologiche fin dai tempi degli antichi, viene oggi aggiunto in forma di nano-particelle in calze e tute da ginnastica (come deodorante), in certi bendaggi e prodotti di pulizia per la casa. Sulle qualità nuove, impreviste, spesso tossiche e super-attive che i metalli assumono quando sono finemente polverizzati in nano-particelle (un nanometro è un miliardesimo di metro), gli scienziati hanno moltiplicato gli allarmi. Ora due ricercatori, Paul Westerhoff e Troy Benn dell’Arizona State University, hanno presentato una ricerca alla American Chemical Society a proposito di un loro semplice esperimento condotto su calzini impregnati di nano-argento e già comunemente in commercio negli Stati Uniti (evita il cattivo odore). Lavando e rilavando i calzini, hanno appurato che essi rilasciano nano-particelle di argento che finiscono negli scarichi e infine nell’acqua di fiumi e laghi. Qui non attaccano solo i batteri colpevoli degli odori sgradevoli, ma aggrediscono anche microbi benefici e pesci, interferendo in modo imprevisto e ancora non ben studiato, nei processi biochimici della vita. I danni per l’ambiente ed anche per l’uomo sono ingenti: le nano-particelle superano la barriera delle fosse nasali che filtra i particolati meno fini, finendo nei polmoni e nel circolo. Si pensi agli effetti cancerosi dell’amianto dovuti allo sfarinameno in micro-particelle: le conseguenze possono essere imponenti, quanto più si diffonde l’uso commerciale di nano-materiali. C’è anche il rischio che qualche Nobel proponga di disseminare nano-particelle nell’alta atmosfera, per salvarci dall’effetto-serra…

Il traffico aereo sopra i 6.500 m (20.000 piedi) di quota è controllato, sotto tale quota no. Gli aerei che incrociano al di sotto dei 6.500 possono anche non presentare un piano di volo all’E.N.A.V., perché non è richiesto. Tali aerei viaggiano in VFR ossia “volo a vista” quindi l’E.N.A.V. non è a conoscenza dei piani di volo (qui ho i miei forti dubbi...). Praticamente, al di sotto di 6.500 m di quota, ognuno fa quel che vuole. Ricordo, nel film “Il muro di gomma” (sulla strage di Ustica), una battuta di chi interpretava il fabbricante dei DC-9. Costui operava un paragone rispetto al traffico di Roma dicendo: ”Che gran caos che c’è nelle strade di Roma, ognuno fa quel che vuole... e lassù è un po’ la stessa cosa”. Compiamo un ragionamento semplice e logico: le scie di condensazione si possono (a volte n.d.r.) formare al di sopra degli 8.000 m, temperatura inferiore ai 40 gradi sotto zero, umidità relativa al 70%.

Gli aerei “chimici” che noi vediamo (ricordo che si vede la fusoliera ad occhio nudo) non volano certo sopra gli 8.000 m. A volte non volano neanche a 6.000. Talora è già tanto se arrivano ai 3.000-4.000 m. A quella quota non è possibile il verificarsi delle scie di condensazione. Ne consegue una domanda: se a tale quota non è possibile la formazione di scie di condensazione, che diavolo di scie sono quelle che noi vediamo e che poi si espandono fino ad oscurare il cielo sopra le nostre teste? Ovvio che non sono scie di condensazione.

C’è poi un altro aspetto da riportare: gli aerei droni, ossia senza piloti. Sono velivoli che vengono pilotati tramite satellite. Perché poi questi voli non sono identificati dal radar AirNav? Forse perché sono militari e quindi hanno codici altamente criptati? Forse semplicemente perché non devono essere identificati. Il problema è che i nostri occhi identificano molto bene sia gli aerei sia le scie.

Identificano molto bene il crimine che questi signori in divisa stanno perpetrando sulla popolazione mondiale. Identificano molto bene quelle scie che alcuni si ostinano (in maniera interessata) a chiamare scie di condensazione e che giustificano il loro espandersi con la parola cristallizzazione dei vapori caldi emessi dai motori. Il problema è che il sottoscritto non ha visto mai una cristallizzazione che si espande, che non si scioglie (se di cristalli vogliamo proprio parlare, come quelli dei fiocchi di neve). Controllo climatico, nuove armi, organismi geneticamente modificati, malattie all’apparato respiratorio e alla pelle di origine “sconosciuta”, mutazioni dell’organismo (morbo di Morgellons) e chissà che altro.

Alzate gli occhi al cielo e ponetevi la domanda su che cosa stanno facendo.

Luca Romaldini

Articolo originale qui.


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domenica 5 maggio 2013

Il particolato più sottile è all'origine di ictus

Il particolato più minuto (PM 2,5 ed inferiori) è importante causa di ictus. Lo dimostra un recente studio medico condotto negli Stati Uniti d'America. Qual è la principale fonte di inquinamento da polveri? La geoingegneria assassina: ecco spiegato il motivo per cui gli ictus hanno purtroppo conosciuto un'impennata in questi ultimi anni, anche tra giovani e giovanissimi. Si legga "Polveri sottili e guerra climatica", 2013

L’esposizione prolungata alle polveri sottili accelera il processo di ispessimento e di indurimento delle arterie, oltre al fumo, all’obesità, al colesterolo ed all'ipertensione, sul banco degli imputati per lo sviluppo dell’aterosclerosi si trova l’inquinamento atmosferico. A confermarlo è uno studio pubblicato di recente su "Plos Medicine" che ha osservato come l’esposizione alle polveri sottili accentui l’aterosclerosi, aumentando i rischi di infarto o ictus.

Sara Adar della University of Michigan School of Public Health e Joel Kaufman della University of Washington hanno analizzato l’effetto dell’inquinamento sulla carotide, usando questa arteria (che trasporta il sangue al collo, alla testa ed al cervello) come "zona" campione per valutare la situazione degli altri vasi del corpo. È stato analizzato l’ispessimento della carotide di cinquemila persone di età compresa fra i 45 e gli 84 anni, provenienti da sei diverse aree metropolitane degli Stati Uniti e senza problemi di tipo cardiovascolare.

I risultati degli esami agli ultrasuoni eseguiti nell’arco di cinque anni sono stati inequivocabili: se in media lo spessore della carotide aumentava di 14 micrometri all’anno, nelle persone maggiormente esposte ai PM 2,5 l’ingrossamento era maggiore di 5 micrometri. Questi dati, correlati con altri risultati provenienti dalla stessa popolazione, hanno anche evidenziato come coloro che abitano nelle aree più inquinate della città abbiano il 2% di possibilità in più di essere colpiti da un ictus nei confronti di chi risiede nelle zone con livelli inferiori di P M 2,5.

Lo studio non è concluso: le analisi condotte in futuro sullo stesso campione consentiranno di valutare in maniera più approfondita il nesso fra un’esposizione a lungo termine ai PM 2,5 e problemi all’apparato cardiovascolare.

Fonte: ecoblog.it



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