
L’idea di base ricorda da vicino altri film, soprattutto “Equilibrium”, ma il sottogenere distopico qui vira verso il romantico, mentre l’azione e la suspense sono ridotte al minimo. La recitazione dei protagonisti è perfetta, algida ed impersonale come i luoghi ed il milieu dove si conduce un’esistenza del tutto programmata ed anemotiva. Con questa atmosfera fredda consuonano la sceneggiatura essenziale e la fotografia che valorizza il bianco freddo di ambienti ed abiti, colore su cui spesso si stagliano le silhouettes degli attori. Sono scelte stilistiche efficaci utili a riscattare la scarsa originalità dell’intreccio che evoca pure, per il tòpos narrativo dell’equivoco fatale, “Romeo e Giulietta” di William Shakespeare, anzi John Florio.
L’aspetto più importante della produzione ci sembra il verosimile affresco di un mondo che rispecchia quello che stanno modellando le sedicenti élites intente a “fabbricare”, con i pretesti più disparati, generazioni di automi cui sono impediti i rapporti interpersonali, individui efficienti, omologati (equals appunto), insensibili. E’ il “brave new world” immaginato da Aldous Huxley. Agli esseri umani, in cambio di un’esistenza autentica con le sue gioie e i suoi dolori, costellata di slanci e delusioni, è offerto solo il cerebrale surrogato di una scienza frigida, volta a far progredire le esplorazioni spaziali.
Eppure l’umanità è destinata a trionfare sul controllo e sulla chimica, sotto forma di farmaci o di veleni, perché l’umanità, quella genuina, è ancora capace di passioni vere… che non sono reazioni chimiche.
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